Saul Arpino ritorna…


Avete visto quella faccia della foto in vetrina… chi è quello, sono forse io?
Potrei dire di sì ed anche di no…. Sono io per le convenzioni del mondo, non sono io perché l’io non può essere fissato ad un’immagine momentanea e mutevole.
Quell’io che vedete è un attore che recita in una commedia, in un certo senso non ha nome né forma precisa, come tutti gli attori che possono interpretare vari ruoli.
Ma il mio vero “io” non si manifesta solo nei ruoli ma nella sceneggiatura, nei costumi, nelle parti comprimarie, nella musica, nella regia, nelle luci, negli spettatori… eccetera…


Volendo però dargli un nome chiamerò quell’io Saul Arpino. Un nome inventato? Forse sì e forse no.. il nome potrebbe esistere od avrebbe potuto esistere… mio nonno –ad esempio- avrebbe potuto chiamarsi così… poi per motivi banali, di sopravvivenza bruta, prese a chiamarsi Paolo D’Arpini… ed io voglio seguire il suo esempio -ma al contrario- cambio nome e divento Saul Arpino, perlomeno su questo blog.


A proposito di blog… sentivo il desiderio di crearmi un piccolo palcoscenico sul quale recitare alcune parti che non mi sono consentite in altri spazi. Da questo luogo, che forse mi riporta indietro nel tempo, un ritorno ai dinosauri del passato remoto oppure verso un avanti sconosciuto, non so, mi prenderò la libertà di raccontare e mostrare agli accorti lettori alcune segrete immagini dell’essere… di quel che io sono o non sono, descrivibile o indescrivibile…..


Vostro affezionato, Saul Arpino.

giovedì 15 marzo 2012

Cancellazione dal Giornaletto di Saul e l'illusione delle forme.. "Tutto è maya..." di Simone Sutra

I cinque movimenti - dipinto di Franco Farina

Ciao Paolo/Saul, è con rammarico che ti vorrei chiedere di togliermi dalla mailing list del giornaletto. Vorrei dirti che non è una cosa personale , ma nonostante l'affetto che ho per te, mi riesce difficile capire come si possa portare avanti un forum che ripete all'infinito le stesse tematiche della protesta, di un "laicismo" come lo definisci tu, che davvero non credo si possa conciliare con il ruolo dell'"osservatore" che credo a una persona spiritualmente consapevole tocchi; essere nel mondo ma non di questo mondo, e quindi non partecipare alle sue inique dinamiche se non per quel che è strettamente necessario; il più come dice il vangelo è "dal demonio" nel senso che abbassa fortemente il livello vibratorio per poi non risolvere veramente nulla a livello individuale e tantomeno globale, risultando così essere una trappola energetica bella e buona, uno spreco di tempo e di energia mentale.
Questo l'ho sempre accennato nei miei interventi, ma ovviamente ognuno è libero di vedere le cose come crede, non ritengo di essere il depositario di una verità assoluta, però credo che in un contesto spirituale questo giornaletto non c'entra proprio niente. Non credo quindi in una "spiritualità laica" perchè secondo me una cosa esclude l'altra.
Insomma, il mio percorso mi porta lontano da tutto ciò, e quindi non me ne volere se ti chiedo di togliermi. Ciao, un abbraccio, Simon

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Mia rispostina:

Caro Simone, grazie per avermi scritto. Ben facesti ad esprimerti sinceramente, infatti é molto meglio dire ciò che si pensa senza reticenze o "rispetto umano" piuttosto che subire passivamente un qualcosa che non ci aggrada. Questa, secondo me, é "laicità" (infatti sono d'accordo con te sul futilità di perseguire pedestramente il laicismo).
Ti abbraccio con immutata simpatia ed affetto
Ciao, Paolo/Saul

P.S. Secondo me, l'"osservatore" può essere distaccato dagli eventi osservati, ma non li ignora e non rifugge da essi.

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Replica di Simone:

Ciao Paolo, solo un "contrappunto" sul tuo P.S. Ritengo un po' infelice la tua espressione "ignorare" e soprattutto "fuggire" che hai utilizzato in questo caso.
Non è fuga, ma rifiuto di essere coinvolti in manifestazioni di bassa qualità energetica, che riflettono solo lo stato di rimbambimento dell'uomo in balia di dinamiche impostegli da forme collettive ormai sclerotizzate e cristallizzate da fin troppo tempo.
Accettare la "realtà" ufficiale e parteciparvi nelle modalità in cui si esprimono i "corrispondenti" del giornaletto, e cioè anche con logiche contrappositive che però trovano espressione di scontro sullo stesso terreno e con le stesse armi, significa solo avallare quelle fruste e logore, inefficaci e imprigionanti dinamiche, che non fanno che reiterare lo stato di imprigionamento dell'uomo, perfetto carceriere di se stesso.
L'attribuire le colpe e gli effetti a cause (come le possibili soluzioni) sempre esterne a se stessi non è che la ripetizione virtuale di un vittimismo ormai si può dire geneticamente insito nella mente dell'uomo, una trappola sottile ed insidiosa che impedisce di vedere le vere soluzioni, sempre e inevitabilmente interiori, quando si è coscienti della propria natura spirituale, la nostra vera essenza, che trascende questo mondo fenomenico: una trappola che ti dice che non puoi mai essere tu l'artefice della tua vita, ma dipende sempre da altri o da qualcosa .
E' l'adeguarsi al livello della nostra natura spirituale l'unica soluzione, senza farsi coinvolgere nelle varie buffonate di questo sistema di vita (comprese le varie contestazioni e iniziative "alternative"), creato ad hoc per perpetuare se stesso, e per tenerti inchiodato alla macina con gli inganni più sottili (l'idea che si possa per esempio cambiare qualcosa di fondamentale cambiando colore politico dei governanti): elevarsi ad un livello mentale superiore, avulso e distaccato da questi parametri mentali, ti consente di vedere la foresta nel suo complesso, non albero per albero che ti sbarra la visuale. Questo non significa affatto fuggire: significa prendere questa vita per quello che è, un'occasione evolutiva, un apprendimento che non può prendere il via e usare come punto di riferimento le tracce fasulle disseminate da un sistema che ti vuol rendere sempre e comunque uno zombi asservito, anche quei cosiddetti "alternativi" e idealisti che credono che cambiare qualcosa a livello politico rappresenti davvero un cambiamento. (per questo mi facevano ridere tutti gli "incazzati" del giornalino che si scagliavano contro Berlusconi, che rappresentava per loro l'epitome della malvagità, e la scaturigine di ogni loro problema. Chissà se adesso hanno capito che non era l'uomo, ma il principio che sta dietro il sistema, ogni sistema, a metterglielo nel didietro) Questo atteggiamento per me è prendere in giro se stessi e soprattutto non riconoscere che il vero cambiamento viene sempre dall'interno, trasmutando se stessi in base a dinamiche di livello più elevato che non obbediscano al meccanismo di Maya, grande padrone del mondo. E ' il solito meccanismo della dualità contrappositiva, nero contro bianco, di cui francamente non se ne può più, perchè serve solo a ricreare sistemi apparentemente diversi ma perfettamente identici nella sostanza. Nel simbolo del Tao nero e bianco sono complementari e profondamente integrati l'uno nell'altro, mai contrapposti. Ogni contrapposizione è uno spreco di energia, proprio perchè alimenta energeticamente ciò contro cui ci si scaglia contro, cioè l'entità sottile nascosta dietro il sipario ingannevole delle apparenze, vorace divoratrice di ogni tipo di energia, che sia "pro" o "contro" (concetti quantomai primitivi come quello di "bene " e "male"). Certo se uno ha lo sguardo all'apparenza delle cose quello che dico è follia. Chi guarda un albero non ha idea di quanto siano profonde le sue radici, quelle che lo mantengono in vita. Ma nostro compito come interpreti della realtà è andare a monte degli eventi, vedere da dove traggono davvero la loro origine, che non è mai situata sul livello fenomenico, che è solo la punta dell'iceberg, mentre l'immensa mole ben più grande è sommersa e non visibile. Così sono le dinamiche terrene, solo l'ultima propaggine di dinamiche di natura ben superiore e potenti a livello sottile e vibratorio. Per questo non bisogna, se si vuol cambiare davvero qualcosa, agire sullo stesso livello fenomenico, perchè ci si riduce a schermaglie da burattini quali si dimostra di essere dando ragione e credendo come unica realtà possibile quella manifesta a livello materiale e adeguandosi ai suoi mezzi espressivi e alle sue dinamiche impositive: da questo tipo di logica nascono le guerre e ogni tipo di confronto violento fra gli uomini. Perfino la scienza fisica dice che ci sono realtà ben più fondamentali della materia, da cui ha origine la materia.
E' per questo che ti allego uno scritto, non di mia penna, ma frutto di mie ricerche sull'argomento, che ci terrei che tu leggessi.
Poi, sono aperto a qualsiasi commento. Ciao da Simon


Testo menzionato:

Maya, (parola che in sanscrito significa letteralmente “ciò che non c’è”) secondo l’antico pensiero mistico-filosofico indiano è l’illusione fenomenica, e, insieme, il mondo e noi stessi: la pseudo-realtà che ci appare tutt’intorno, ma anche spesso dentro, quella che chiamiamo “io” (la personalità effimera e passeggera di ogni incarnazione).
L’esistenza dell’uomo apparentemente separata da Dio (o sarebbe meglio dire dalla sua stessa condizione divina) è un’illusione, ma tale illusione deve essere da lui esperita, per permettergli poi di superarla e di comprendere la propria unità con Dio (con la sua natura divina).
Capire il codice, la struttura di Maya e dipanarne il velo, decodificarlo, è tutt’uno col conoscere la vera realtà e conseguire la pace interiore.
Maya e il suo potere sembrano non aver confini: abbracciano tutto, anche il mondo concettuale, anche l’intelletto e i suoi sforzi per spiegarsi le cose e districare l’inganno.
Il paradigma di Maya è un sistema di pensiero condiviso subconscio e automatico sia per origini che per funzionamento; è un modo di spiegare e prevedere il mondo, la manifestazione, l’uomo, e il divenire. E’ un paradigma di ordine superiore, non perchè sia “dettato” o “imposto” dall’alto, ma nel senso che sta alla base ossia è il presupposto di tutti gli altri paradigmi (in questa accezione”paradigma” è una sorta di metro di misura mentale in base al quale si formano le opinioni e i comportamenti: un sistema di valori in base ai quali la realtà viene delimitata in maniera funzionale ad essi, e in base ad essi appositamente “costruita”e interpretata e quindi accettata) del pensiero comune, dalla scienza all’economia.
Il famoso motto socratico “so di non sapere” non significa solo “mi rendo conto che so pochissimo, almeno in relazione a tutto quanto c’è da sapere”; ma anche, e forse soprattutto: “ho compreso che molte cose che noi riteniamo di sapere in realtà non è che le sappiamo, ma abbiamo invece solo convinzioni più o meno irrazionali ed erronee circa esse, che abbiamo ereditato e a cui ci adeguiamo, e siamo completamente avviluppati da una realtà illusoria; ossia, che gli strumenti con cui noi riteniamo di acquisire il sapere sono difettosi”. In altre parole, che la funzione del conoscere è ingannevole.
In questo senso Socrate si dimostra ben conscio che ciò che è comunemente considerato come certo è per lo più un inganno della mente, o dei sensi: questa sua consapevolezza ricalca il concetto di Maya, e la sua missione fu di aiutare i suoi discepoli a lacerare il velo di Maya guidandoli dapprima alla presa di coscienza dei loro profondi convincimenti circa certi aspetti della realtà, indi alla scoperta della fallacità dei medesimi, sino a liquidarli e a dischiudere una nuova prospettiva. Platone mise ben a frutto la lezione del suo Maestro quando descrisse la condizione dell’uomo nella parabola della “Caverna”.
Più sottilmente, possiamo osservare e riconoscere che la maggior parte di ciò che riteniamo oggettiva realtà non è realtà oggettiva, ma risultato di qualche giudizio e interpretazione nostri o ricevuti dall’esterno, e dei quali non di rado siamo solo vagamente consapevoli.
Se infatti sotto una data angolazione il reale appare tragico e ineluttabile, da un altro punto di vista ciò si realizza in parte a causa delle nostre scelte individuali/collettive, e in parte ad opera di condizionamenti artificiali volti a creare e ad alimentare un modo di pensare che ci costringe entro gli stretti confini di un circuito di illusioni, tanto convincente da rendere questa nostra “suggestione di realtà” così vera ed insistente.
Ognuno di noi nasce in un tessuto relazionale di siffatti giudizi, interpretazioni, valori, costrutti mentali, non dimostrati, non dialetticamente elaborati o integrati e sovente subconsci, socialmente tramandati ma trattati come la “realtà e basta”; emotivamente caricati da persone da cui dipendiamo fisicamente e psichicamente (i genitori in primo luogo) e che amiamo. Per tutta la nostra vita, ci impegniamo in attività sociali attuanti e comunicanti il pratico riconoscimento dei medesimi giudizi e interpretazioni, la loro condivisione.
Condividere queste idee, queste usanze, questi costrutti, queste “forme mentis”, è un requisito per la nostra integrazione nella società, ossia per trovarci sintonizzati, accuditi, socialmente accettati e riconosciuti dai diversi gruppi di cui diveniamo membri, iniziando con la nostra famiglia e continuando con la scuola, gli amici, la comunità religiosa, i colleghi ecc. ecc. Il porre in dubbio quei convincimenti , interpretazioni e valori innesca in noi un processo di differenziazione e individuazione che può metterci contro il gruppo o la società nel suo insieme, che a questo punto ci sente diversi, destabilizzanti, pericolosi. Un’alternativa è semplicemente estraniarci da tutto questo contesto, scelta che di solito è vissuta come dolorosa e destabilizzante della personalità. Per questa fortissima ragione ogni persona apprende (per lo più inconsapevolmente e in tenera età) a non evolversi per adeguarsi allo status quo; il che produce un’incapacità (di evoluzione interiore) appresa o costruita per via sociale. E’ su questa incapacità che si regge la società, che richiede zombi obbedienti e servitori sottomessi per poter funzionare o addirittura esistere (almeno così come la conosciamo). Porsi domande, interrogare la propria coscienza, ascoltare la voce dell’anima che dice cose contrarie ai sacri principi della società “civile” è praticamente un crimine, e lo era letteralmente nella società ipotizzata dal romanzo orwelliano “1984”, che ricalca una realtà non troppo dissimile dalla nostra.
Le informazioni e le credenze che ci sono state imposte non rappresentano l’intero quadro della realtà; quindi spesso percorriamo la nostra vita su una sola strada dell’esistenza, perdendo di vista una miriade di incredibili opportunità (tutte le conoscenze o ipotesi non ufficiali o “alternative” perché anatema per la scienza o per qualche altra istituzione che si è fatta custode della nostra gabbia mentale) , perché accettare credenze limitanti è come indossare una camicia di forza per tutta la vita. Le persone che scelgono di indossare questa “camicia” e di vivere nella loro gabbietta concettuale (e cioè la stragrande maggioranza della popolazione) non vedono altre diramazioni lungo il cammino; le loro credenze fanno letteralmente da paraocchi, nascondendo ed eliminando ogni altra possibile o probabile via o soluzione alternativa. Le nostre credenze condizionano o definiscono lo spazio che ci circonda, creando un imprinting elettromagnetico che attrae in modo conforme tutte le esperienza della vita (per la legge d’attrazione e di risonanza).
Le masse hanno strutturato la propria vita su di un atto di fede: per loro le credenze sono fatti assoluti, aspetti dell’esistenza la cui “verità” non può mai essere messa in dubbio.
Le credenze culturali sulla natura della realtà che governano la nostra esperienza provengono da profondità lontanissime nel tempo. Le credenze derivano da idee sulla realtà; queste idee poi si tramandano nel corso del tempo evolvendosi in fatti, e questi fatti sembrano confermare ciò che vediamo, ciò che ci è stato detto. Le idee in questo modo formano un anello di energia che continua a ricreare uno schema super-rigido di realtà attorno a noi, supportato dal massiccio contributo di energia della coscienza collettiva. Questo imponente supporto fondato su concetti culturali mai messi in discussione sostiene la struttura complessiva del mondo in cui viviamo. Le credenze di massa determinano una visione illusoria e manipolata della realtà di cui tutti noi ci siamo accordati di far parte; ogni giorno della nostra vita incontriamo questi accordi nelle nostre esperienze sociali, culturali, e di conseguenza anche in quelle personali.
Alcune tra le più influenti credenze di base che imprigionano l’umanità in un circolo vizioso di confusione senza fine derivano certamente da antichi miti sulle origini umane, come per esempio quello di Adamo ed Eva. Nei miti c’è sempre un fondo di verità, dato che essi, oltre ad essere un insieme di insegnamenti o credenze sulla natura della realtà alimentate per lungo tempo, sono anche una registrazione del nostro linguaggio ancestrale. Tuttavia la verità percepita dipenderà dal modo in cui l’evento viene recepito dall’immaginazione, perché è lì che nascono le interpretazioni. In particolare il mito – o meglio la favoletta, perché di questo si tratta - di Adamo ed Eva ha dato vita a una miriade di asserzioni percepite come delle verità indiscutibili: “la disobbedienza si paga” “solo Dio può tutto” “non ci si può fidare delle donne” “i serpenti sono esseri malvagi” “l’umanità non merita nulla, perché ha peccato sin dall’inizio” e via discorrendo. E così, in un modo o nell’altro, la vergogna e la debolezza sono alla base delle comuni interpretazioni di questa favola tanto cara agli uomini, che consacra il vittimismo, ovvero l’estremo stato di impotenza, in quanto credenza radicata culturalmente a livello profondo. Le credenze collettive creano quindi illusioni collettive; nel corso del tempo le credenze sono state manipolate e confezionate affinchè diventassero accordi accettati a livello di massa applicabili all’interno dell’esperienza tridimensionale. Le credenze di massa relative al potere di un’autorità esterna sono saldamente radicate nella nostra psiche; esse sono forti e vecchie, ma, come una foresta di sequoie, possono essere abbattute molto molto velocemente, sollevando tante domande sulla verità di chi noi siamo e sul perché riponiamo la nostra fiducia in entità (credenze, istituzioni, persone) che sono al di fuori di noi stessi.
A tutto ciò corrisponde, a livello individuale, la creazione di un “personaggio” di facciata che ci definisce e a cui aderire diventa il gioco obbligatorio di una Maya tutta personale. Essere completamente se stessi, anziché il personaggio che si crede (o si vuol far credere) di essere, è piuttosto difficile. Proprio per questo la maggior parte degli esseri umani finisce per credere (o fa finta di credere) al personaggio che si è creato. Sono pochissimi quelli che sono disposti ad ammettere di convivere con delle gravi falsità comportamentali: siamo, in genere, completamente sprofondati nei personaggi retorici delle nostre ipocrisie. Ne deriva che gli atteggiamenti con i quali ci proponiamo agli altri o a noi medesimi rendono difficilissima da ritrovare la via per incontrare veramente noi stessi.
Quell’essere che appena nato è quasi libero e privo di sovrastrutture, attraverso una diabolica congiura di educatori, o meglio di indottrinatori (spesso guidati dai genitori stessi) viene in breve tempo coercito a tal punto che finisce per sclerotizzare tutti i suoi atteggiamenti, al fine di evitare la mostruosa serie di frustrazioni, in agguato a ogni deviazione dal comportamento richiesto.
Il “personaggio” non è in cerca di autore, come quelli pirandelliani, in quanto l’autore lo ha già trovato; si comporta perciò nella maniera più subdola, si nasconde, si ammanta d’umiltà o dei vestiti preferiti dal mondo nel quale si è impegnato a vivere (al nostro posto). Riesce in genere ad ingannare sia il suo creatore come gli eventuali interlocutori.
Il “personaggio” è uno stratega: metterlo a nudo è il principale compito del vero ricercatore che, a questo proposito, si aiuterà con uno specchio pulitissimo, il solo in grado di riflettere le immagini del personaggio che sta agendo al suo posto. Come e dove trovare tale specchio spietato? Riconquistando il “ricordo” di chi siamo veramente: esseri appartenenti a una dimensione eterna, esistente al di fuori dal contesto spazio-temporale.
Fino a quando un’entità qualsiasi non viene oggettivata con un contorno definito, la coscienza è costretta ad identificarsi in essa strettamente: ciò significa che fino a quando non ci rendiamo conto che la nostra personalità (o meglio il “personaggio” che interpretiamo in questa sequenza spazio-temporale) è una “forma” temporanea, continueremo a pensare di esistere unicamente grazie al “vestito” che ci portiamo addosso.
Il fatto di cominciare a vedere il “personaggio” come qualcosa di diverso da ciò che siamo veramente ci consente innanzitutto di affrontare la vita di ogni giorno da un’angolazione altrimenti inconcepibile.
C’è da dire però che, quando i “personaggi” vengono scoperti, si arrabbiano sempre e a volte non ammettono di esistere. Ciò provoca la depressione degli uomini che li hanno creati e la gioia degli psichiatri che li prendono in cura. Pretendere di sopprimerli è inutile; la convivenza coattiva è invece difficile e porta a volte alla schizofrenia. E’ comunque necessario andare alla loro ricerca, al fine di conoscerne la natura; in tal modo scopriremo forse che essi sono il vero manto di cui la nostra natura si copre, per non essere svelata. La Maya buddista e induista non è quindi solo un coacervo di veli esterni: la distinzione fra fuori e dentro, in questo caso, è fonte di ulteriore illusione. Siamo NOI l’illusione, noi siamo il velo da sollevare; siamo noi l’illusionista del nostro mondo illusorio.
Ma forse ammettere e rendersi consapevoli di tutto ciò può risultare un po’ difficile: il nostro ego è infatti costantemente e faticosamente impegnato a mantenere in vita tutti questi parassiti, dedicando a questa operazione un’energia equivalente a quella di una centrale atomica; e la morte di tali “personaggi” ci terrorizza. Il nostro ego, disidentificandosi da tali mostri, teme di dissolversi e non permette alla nostra vera essenza di essere quello che è.
Come vedremo nel capitolo dedicato ai guardiani della “Matrice” (Vedi capitolo VI di questo stesso libro) e come vedremo nel prossimo capitolo dedicato alle religioni, esse svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito di questo processo di irretimento della persona nell’inganno di Maya. Di solito, infatti, se nasci e cresci in un ambiente cattolico o islamico, diventerai cattolico, oppure islamico, e riterrai che la tua religione sia il non plus ultra, la massima e l’unica verità. Anche se le credenze di una data religione (o formazione politica, o scuola scientifica) sono indimostrate e addirittura confutate, devi nondimeno crederle e metterle in pratica come tutti gli altri, o sarai espulso dal gruppo e perderai l’amore, l’approvazione, l’accettazione, il sostegno anche materiale dei tuoi compagni, dei correligiosi, del capo, del falso guru (il guru vero sarebbe, al contrario, quello che ti libera da tutto ciò gradualmente, rispettando i tuoi tempi).
Le “incapacità” (di scrutinio interiore, di messa in discussione di questo stato di cose, infine di comprensione spirituale e di acquisizione di consapevolezza) impediscono il precipitare di questa “crisi”, ti aiutano a stare nel gruppo, da cui dipendi per i tuoi bisogni emotivi, esistenziali, sociali. Come dice Bertrand Russel: “la fede è un rigido insieme di convincimenti, che non può essere modificato dalla prova contraria”. La causa di questo suo non poter essere modificato dalla prova in contrario è l’incapacità appresa ( e cioè, come si diceva, una sorta di condizione di handicappati spirituali che non vedono – o non vogliono vedere- oltre la cortina fumogena della società prigioniera di Maya) e il bisogno oggettivo di appartenere a un gruppo organizzato, e l’esigenza da parte del gruppo o società che le forme pensiero condivise rimangano tali e quali.
Noi apprendiamo, in effetti, a vedere e trattare i convincimenti della società come se fossero fatti reali e percezioni dirette della realtà, anziché giudizi e interpretazioni; e, attraverso questa pratica comportamentale finiamo per perdere la facoltà e la motivazione di discriminare gli uni dagli altri. Apprendiamo a vivere come dati di fatto quelli che invece sono cumuli e concrezioni di giudizi e opinioni, sovente trasmessi da propaganda e pubblicità, che vanno a costituire un intero paradigma di pensiero, in quanto utili alla nostra integrazione sociale, religiosa e professionale o alla nostra gestione e manipolazione da parte di enti come la politica, lo stato, la religione ecc.
Alcuni di questi giudizi e interpretazioni hanno contenuto morale o sociale – che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è giusto e che cosa non lo è, valori civili e politici come libertà e democrazia, gusti e mode – altri invece hanno contenuto antropologico e religioso – da dove viene l’uomo, qual è il vero Dio e che cosa vuole – altri ancora riguardano il modo di acquisire e certificare la conoscenza – lauree, carriere accademiche e professionali, ecc - e altri ancora infine sono molto profondi e riguardano la stessa natura del mondo e della realtà; qui si trovano le idee fondanti del pensiero e della gestione della materia riguardanti spazio, tempo, causalità.
Ovviamente alla stragrande maggioranza della popolazione non viene assolutamente in mente di mettere in discussione i paradigmi delle “certezze” ricevute/imposte; se fosse diversamente, è verosimile che la nostra vita sociale sarebbe del tutto diversa da come in effetti è, ed è attraverso le nostre illusioni e i nostri legami con esse che perdiamo la libertà e siamo dominati.
Se dedichiamo un momento a riflettere su tutto ciò, riconosceremo come tutto il nostro vivere (agire, pensare, volere, soffrire, gioire) presuppone quel paradigma, quell’insieme di giudizi, e non lo mette mai in dubbio. E non solo il nostro vivere quotidiano lo fa, ma anche la nostra scienza, la tecnologia, la legge, la guerra, il commercio ecc.
Le stesse fedi religiose, ancora prima di credere nelle rispettive divinità presuppongono e sono fedeli a quello stesso paradigma, quella cornice di realtà, come se fosse vero, e parlano il suo linguaggio.
E che dire del massiccio dogmatismo che permea il mondo scientifico? Esso ne è una funzione importantissima, e la scienza non potrebbe esserci senza di esso. La giustificazione per lo speciale trattamento della scienza, per adottarla come conoscenza ufficiale e neutrale dai governi (ossia il suo essere garantita come affidabile grazie al suo metodo qualitativamente distinto) è falsa, poiché la sua distinzione, la sua eccellenza si è dimostrata pure falsa. La giustificazione vera, dietro quella falsa, è il potere di fatto della scienza e della tecnologia: potere e capacità di produrre profitto sono così la fonte finale di legittimazione. L’asserzione che non ci sia conoscenza al di fuori della scienza altro non è che un’opportunistica favola, un modo di dirti: “guarda che non c’è nient’altro oltre ciò che ti diciamo noi: quindi vedi bene di sottometterti – e di comprare i nostri prodotti (il “prodotto” che la scienza ha da vendere sono le sue stesse risultanze, in base alle quali tutto un sistema commerciale, ma non solo, viene messo in moto: in fondo agli scienziati tutto ciò che importa veramente è essere messi su di un piedistallo e venerati come dei. Offrire proposizioni differenti dalla loro sacra parola potrebbe farli cadere da lassù, e non sono disposti a correre il rischio). Anche la psicologia, come le altre scienze occidentali, poggia sulla dicotomia della realtà, sul dualismo che abbiamo definito il paradigma di Maya.
Il primo passo di chi cerca la libertà dalla dominazione di Maya deve essere ineluttabilmente il riconoscimento e la sospensione dei giudizi e delle interpretazioni che costituiscono il mondo “creduto”, a cominciare dai più generali e fondamentali tra essi, che sono quelli relativi alla realtà come tale, all’idea e al riconoscimento del “reale”, quel paradigma che opera tacitamente, come un filtro o “stampo” dietro la nostra coscienza, dentro la nostra emotività, attraverso le nostre percezioni.
Spesso si è imprigionati nel piano mentale da forme-pensiero create dall’uomo, dall’illusione che sbarra momentaneamente tutte le vie d’uscita verso i regni delle realtà metafisiche, sovrasensibili. La maggior parte delle forme-pensiero che affollano il piano mentale trae la propria esistenza dal fatto che la mente inferiore è controllata dal desiderio, ed è il prodotto delle masse di uomini e donne ancora focalizzati sul piano astrale. Queste forme-pensiero originano in realtà dal regno delle idee, ma a causa dell’effetto deformante delle turbinose correnti e delle nebbie del mondo emotivo sono state piegate al servizio degli scopi egoistici dell’uomo. Queste forme-pensiero sono state trasformate nelle forme-pensiero che affollano e rafforzano il mondo dell’illusione, e sono quindi pochi coloro che si sottraggono al loro influsso rimanendo liberi dall’inganno.
Uno dei principali danni prodotti dall’illusione è che può dominare la mente a un punto tale da impedire l’ingresso di nuove idee. La capacità mentale dell’uomo rimane così limitata e bloccata dall’illusione, e il suo progresso viene ritardato, perché la persona vittima dell’illusione resta devoto e schiavo di un concetto soltanto parziale, o di un’espressione deformata, di un’idea o di un’ideale, e la verità nel suo insieme gli sfugge. E’ l’illusione che origina il fanatismo, l’idealismo astratto, ripugnanti applicazioni di idee distorte e di versioni confuse di uomini e donne dalla mente ristretta che vogliono imporre con la forza la loro visione distorta ai propri simili, senza ammettere neppure la possibilità di punti di vista differenti.E’ la nascita di queste idee distorte nella mente di personalità forti ma illuse che ha causato tanta miseria e sofferenza nel mondo. Quando queste idee erronee vengono imposte dai leader sotto forma di ideologie l’effetto può risultare catastrofico. Ma nel corso del loro sviluppo spirituale tutti devono inevitabilmente passare attraverso lo stadio della Grande Illusione, cioè attraverso l’errata interpretazione del mondo fenomenico da parte della mente. E finchè predominano il mondo fenomenico e la vita del desiderio l’individuo è confinato nei limiti di Maya, e inizia a spezzare questo influsso solo quando diventa consapevole dell’esistenza del mondo soggettivo (le dimensioni non viste) della realtà e , passo dopo passo, si sottrae alle trappole dell’illusione.

Simone Sutra


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Citazione sullo "spirito laico" del saggio che vive nel mondo, tratto dal Vashista Saram e da me commentato.

S. 27 – “Con apparenti emozioni e piaceri, con apparenti agitazioni ed asti, e con sforzo apparente nello svolgere ogni attività, ma senza attaccamento, gioca nel mondo, oh eroe! Essendo libero da ogni sorta di schiavitù, avendo raggiunto l’equanimità in tutte le situazioni, compiendo azioni confacenti, secondo la tua parte, gioca nel mondo, oh eroe!”

Commento – Un Jnani (conoscitore della Verità) fa la sua parte nel mondo, come ogni altro. Ma le sue azioni e le sue emozioni che sono aldilà di esse, sono solo apparenti. Egli può esultare o sembrare depresso ma in realtà non è così (si ricordi qui la descrizione data del Cristo come Dio e come uomo allo stesso tempo). Allo stesso modo il saggio sembra preparare e perseguire progetti, sembra fare tutto ciò che compie un uomo del mondo ma egli conosce l’irrealtà di tutto questo. Come in un gioco od in una commedia egli svolge meramente la sua parte e non viene toccato da quel che accade. Questo in conseguenza del suo stato di equanimità ed assenza di desideri.

Paolo/Saul

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