Saul Arpino ritorna…
Avete visto quella faccia della foto in vetrina… chi è quello, sono forse io?
Potrei dire di sì ed anche di no…. Sono io per le convenzioni del mondo, non sono io perché l’io non può essere fissato ad un’immagine momentanea e mutevole.
Quell’io che vedete è un attore che recita in una commedia, in un certo senso non ha nome né forma precisa, come tutti gli attori che possono interpretare vari ruoli.
Ma il mio vero “io” non si manifesta solo nei ruoli ma nella sceneggiatura, nei costumi, nelle parti comprimarie, nella musica, nella regia, nelle luci, negli spettatori… eccetera…
Volendo però dargli un nome chiamerò quell’io Saul Arpino. Un nome inventato? Forse sì e forse no.. il nome potrebbe esistere od avrebbe potuto esistere… mio nonno –ad esempio- avrebbe potuto chiamarsi così… poi per motivi banali, di sopravvivenza bruta, prese a chiamarsi Paolo D’Arpini… ed io voglio seguire il suo esempio -ma al contrario- cambio nome e divento Saul Arpino, perlomeno su questo blog.
A proposito di blog… sentivo il desiderio di crearmi un piccolo palcoscenico sul quale recitare alcune parti che non mi sono consentite in altri spazi. Da questo luogo, che forse mi riporta indietro nel tempo, un ritorno ai dinosauri del passato remoto oppure verso un avanti sconosciuto, non so, mi prenderò la libertà di raccontare e mostrare agli accorti lettori alcune segrete immagini dell’essere… di quel che io sono o non sono, descrivibile o indescrivibile…..
Vostro affezionato, Saul Arpino.
lunedì 22 giugno 2009
"Euridice" di Matteo Micci
Amasti mai altrettanto altra creatura
con quell’ardore che la mente acceca…?
Dimmi mio amato Orfeo, figlio del Sole,
chi tracciò per noi questa sorte bieca?
Ricordo il tuo canto, a me dedicato,
che presto albero, ninfa od animale
rapiva tutti con suadente adorno,
formando attorno un cerchio naturale.
Ed io tra loro stavo, una tra i tanti
tuoi amanti spettatori, titubante:
il fuoco soffocavo nel mio cuore,
per non sentirmi sì insignificante…
Così dietro il sorriso di chi fugge
vissi la vita mia, e troppo lontano
giunsi, rincorsa dagli occhi indiscreti
che solo il tuo riflesso in me bramavano.
Mentre cadevo a terra, dal veleno
dell’invidia morsa, gridai il tuo nome,
odiandoti perché mi avevi amato
sì forte che alla Morte mancò il fiato.
Nel freddo del mio corpo sol rimase
mera vestigia d’un rimpianto vano,
per non aver vissuto in vita appieno,
per non averti mai detto che t’amo…
Eppure tu tornasti, eroe orgoglioso,
cercandomi ove il Sol neppure viene…
Ahimè! Neanche la Morte mi lasciasti,
mia pallida, ultima consolazione!
Pensai di riabbracciare la tua luce,
mi donasti la crudele illusione
di poter vivere una vita lieta
sulle tue labbra, come una canzone…
Sentivo alfine che dalle mie tenebre
io mi sarei potuta liberare…
Ma a te il coraggio mancò per portarmi,
di nuovo mi lasciasti sprofondare…
Non sono altro ora che un pallido spettro
che vive solamente nel ricordo
di quelli che eravamo noi in passato,
delle illusioni con cui mi hai sfamato.
Amore maledetto, che alle Stelle
ti destinò, ad incantar per sempre,
e a me misera incatenò all’Averno,
nell’ombra, a vivere un perenne Inverno…
Matteo Micci
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