Carissimo Paolo, anzitutto ti ringrazio per la pubblicità che continui a dare del mio volumetto sul Nord America *. Male te ne incolse, con spudorato coraggio ti chiedo se puoi ridarmi il vostro indirizzo di domicilio (ce l'avevo, ma è smarrito nella massa dell'archivio) al quale manderò una dispensuola che da anni diffondiamo a latere del nostro impegno verso la Palestina.
Poi vado al "sollievo" che mi dà il "giornaletto". In un mondo che sento sempre meno affine, sempre meno "mio". Penso a quando ero bambino (sempre più spesso, sintomo, anzi felice sintomo di vecchiaia) alla guerra trascorsa con mia mamma, e poi nel '46, quando papà tornò dalla prigionia dei giapponesi, la miseria, le difficoltà. Tutto questo accanto alla immensa felicità di essere assieme, di gioire quando si poteva comperare un libro. E parlare e ascoltare papà che mi raccontava delle Rivoluzione cinese (lui era a Shangai dal '39 alla fine del '45). O quando è arrivata una radio, ascoltare, rapiti, musica. La grande musica che mi ha accompagnato nella vita. I miei erano proletari, lavoravano come camerieri sulle barche (così le si chiamava confidenzialmente) del LLoyd Triestino. Mi hanno trasmesso la cultura, l'educazione, con la parola e con l'esempio. Il rispetto per gli altri, la gioia di apprendere, la felicità di godere della bellezza e la necessità di condividere questi beni con tutti. E nel rispetto mio verso gli altri, il rispetto degli altri verso di me, preteso, quando violato. Sono cresciuto circondato da questa enorme ricchezza che mi ha fatto amare la vita e vivere consapevole, felice. Se penso a questo (e mi fermo per rispetto del tuo tempo) che non ritrovo più se non nei miei ricordi, mi spiego perchè non sento più come mio il mondo che mi circonda.
E, arrivo al tema, da qui il "sollievo" che questa mattina, come ieri e come domani, mi ha dato il "giornaletto", dove ritrovo i segni della vita del mio tempo.
Grazie. A presto, Giorgio Stern
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