lunedì 4 febbraio 2013

Asini in guerra - Lettera al Giornaletto di Saul di Marinella Correggia


Marinella Correggia: "Guerre e  angeli silenziosi,  dalle lunghe orecchie”


Qualcuno ha notato quegli angeli dalle lunghe orecchie e dai languidi occhi che anche nella peggior sorte si rendono così utili e non chiedono quasi nulla? Quando le guerre o altre calamità flagellano luoghi poveri (e succede spesso), tanti piccoli asini accompagnano, alleviano, talvolta salvano masse di esseri umani in fuga. In quella pena di morte collettiva che è la guerra, loro ci sono.

Dal nord del Mali, a dorso d’asino hanno trasportato i loro pochi averi tante famiglie dirette verso il Sud o i paesi confinanti per scappare, nei mesi scorsi dalla minaccia delle bande armate islamiste/trafficanti e ora da quella delle bombe francesi. E nel 2001, molte delle centinaia di migliaia di famiglie che dall’Afghanistan prendevano i sentieri e le strade verso il Pakistan, avevano ammassato l’indispensabile sui loro asini, mentre le casupole di terra, terreni minati e scarne coltivazioni facevano da tirassegno agli aerei da guerra anglostatunitensi (a proposito: anche due cani sminatori risultarono fra le vittime delle bombe, a Kabul).

Cambia la geografia, cambiano gli abiti e l’eziogenesi ma rimane l’esodo, troppo spesso senza ritorno. Emergenza siccità in Africa, 2011 e 2012: nelle foto di persone in marcia nella polvere, il nulla lasciato alle spalle, non mancavano mai gli asinelli carichi, insieme ai veli di donne magre, un’immagine eterna. Negli stessi mesi i mesi la “coalizione del volonterosi” di turno bombardava la Libia (da lì, sono scappati a milioni ma senza asini, questione di reddito).

Li usano i fuggiaschi ma anche i soccorritori. Asini e muli riescono portare acqua e cibo in zone imperive e povere. Sono stati dei salvavita durante i terremoti in montagna. E nell’attacco israeliano a Gaza, nel 2008, capitò che fecero da ambulanza per i feriti quando quelle a motore non potevano arrivare.
Sono gli ultimi animali a morire, i più resistenti, quelli che portano acqua e legna fino allo stremo. Ma nemmeno loro si salvano certe volte. La tremenda siccità del Sertao in Brasile ha lasciato asini e muli morti per strada.

Gli equini da lavoro – asini, ma anche muli e cavalli da tiro – sono proletari da sempre, sisifo che condividono le fatiche quotidiane dei compagni umani. Sfruttati. Mal ricompensati. A loro Leonardo da Vinci, vegetariano e antispecista ante litteram dedicò un indovinello: “Le molte fatiche saran remunerate di fame, di sete, di disagio e di mazzate e di punture”.

Come proletari, gli equini da tiro furono mandati a morire nelle guerre, insieme ai soldati di leva. Fanti al macello, a due e quattro zampe. Quelli a quattro, incolpevoli trasportavano a dorso armi, munizioni, cannoni. Accadeva che salvassero i soldati feriti, portandoli via dalla battaglia e dalle trincee. Adesso in guerra gli asini non servono più. Ma in Afghanistan nei posti più impervi i militari stranieri ne hanno ingaggiati, per il trasporto di acqua e viveri in basi militari di montagna. E’ diventato famoso l’asino Hermann che lavorava per i tedeschi. A un certo punto si è ammutinato. Ha saggiamente disertato.

Marinella Correggia

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