lunedì 22 giugno 2009

"Euridice" di Matteo Micci

Euridice

Amasti mai altrettanto altra creatura
con quell’ardore che la mente acceca…?
Dimmi mio amato Orfeo, figlio del Sole,
chi tracciò per noi questa sorte bieca?

Ricordo il tuo canto, a me dedicato,
che presto albero, ninfa od animale
rapiva tutti con suadente adorno,
formando attorno un cerchio naturale.

Ed io tra loro stavo, una tra i tanti
tuoi amanti spettatori, titubante:
il fuoco soffocavo nel mio cuore,
per non sentirmi sì insignificante…

Così dietro il sorriso di chi fugge
vissi la vita mia, e troppo lontano
giunsi, rincorsa dagli occhi indiscreti
che solo il tuo riflesso in me bramavano.

Mentre cadevo a terra, dal veleno
dell’invidia morsa, gridai il tuo nome,
odiandoti perché mi avevi amato
sì forte che alla Morte mancò il fiato.

Nel freddo del mio corpo sol rimase
mera vestigia d’un rimpianto vano,
per non aver vissuto in vita appieno,
per non averti mai detto che t’amo…

Eppure tu tornasti, eroe orgoglioso,
cercandomi ove il Sol neppure viene…
Ahimè! Neanche la Morte mi lasciasti,
mia pallida, ultima consolazione!

Pensai di riabbracciare la tua luce,
mi donasti la crudele illusione
di poter vivere una vita lieta
sulle tue labbra, come una canzone…

Sentivo alfine che dalle mie tenebre
io mi sarei potuta liberare…
Ma a te il coraggio mancò per portarmi,
di nuovo mi lasciasti sprofondare…

Non sono altro ora che un pallido spettro
che vive solamente nel ricordo
di quelli che eravamo noi in passato,
delle illusioni con cui mi hai sfamato.

Amore maledetto, che alle Stelle
ti destinò, ad incantar per sempre,
e a me misera incatenò all’Averno,
nell’ombra, a vivere un perenne Inverno…

Matteo Micci

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